integratori

Molte persone che seguono un’alimentazione “naturale”, compresi anche molti vegani, non sono propensi all’uso di integratori. Chi per boicottare le grandi industrie alimentari, chi perché rivendica la naturalità della propria alimentazione che verrebbe sconfessata se ci fosse la necessità di una supplementazione. 

Molti vegani si scontrano per esempio sulla annosa questione della vitamina B12 ma anche sulla vitamina D, piuttosto che su aminoacidi, omega 3, ferro e chi più ne ha più ne metta. Davvero assumere un’integrazione significa ammettere che la propria alimentazione non è naturale e quindi, in definitiva…non è corretta?

Come a dire che se per avere un’alimentazione vegana completa sono costretto ad assumere una compressina, allora la mia alimentazione non è naturale, e quindi l’alimentazione giusta per l’uomo deve contenere cibi di origine animale. 

Io non la penso così. 

Ti illustro qui il mio pensiero, perché avere degli strumenti di orientamento fa la differenza tra un’alimentazione completa di tutti i nutrienti ed una inadeguata. 

Dico subito che un’alimentazione “ideale” e naturale non necessita di alcuna integrazione e di conseguenza che più sei lontano da un’alimentazione ideale più sarà probabile che avrai bisogno di integrare. 

 Ma cosa intendo per “ideale”? 

Vuol dire di eccellente qualità laddove secondo me il concetto di qualità significa che gli alimenti:

  • vengono coltivati nel modo più idoneo alla loro fisiologia e siano di stagione
  • la trasformazione sia ridotta al minimo, ovvero che vengano consumati il più possibile vicini al loro stato naturale 

Quindi, se mangi insalate in busta, verdure stracotte, pasta e pane bianchi e prodotti industriali confezionati invece che insalate verdi brillante e cereali integrali potresti aver bisogno di integratori. 

Non solo: anche la provenienza e il metodo di coltivazione incidono sull’apporto di nutrienti di un alimento. 

Ti faccio un esempio: impiegando molto fertilizzante, ortaggi e verdure crescono in fretta e a parità di tempo arrivano a pesare notevolmente più dei loro cugini coltivati in tempi rispettosi della fisiologia di quella pianta. Così nello stesso arco di tempo puoi avere una pianta di lattuga alta mezzo metro di un verdino pallido mentre alla stessa pianta cresciuta senza forzature l’altezza si aggirerà sui 30 cm e il colore un bel verde smeraldo intenso. 

Questa ci avrà impiegato un mese a crescere della misura adatta per essere raccolta, quell’altra un paio di settimane (a seconda della temperatura ambientale). In quel mese la lattuga avrà avuto il tempo di maturare gli enzimi, minerali e vitamine che in due settimane non è possibile produrre. Così la lattuga di mezzo metro sarà composta perlopiù di fibra e acqua con qualche ombra di sali minerali e vitamine. La rustica cugina invece no: ha faticato un po’ di più ma il risultato è un alimento di qualità, ricco di tanti nutrienti. Un po’ come la casetta di mattoni del fratello saggio dei tre porcellini. 

L’agricoltura intensiva del resto ha regalato l’illusione di alte rese, alte produzioni e quindi potenziali alti guadagni. Bisognerebbe calcolare però le rese come nutrienti per ettaro non come quintali per ettaro! Da quanto ci dice la letteratura scientifica infatti, pur producendo quantitativi inferiori di vegetali per unità di superficie, l’agricoltura biologica è in grado di fornire maggiori quantità di nutrienti rispetto a quella convenzionale. 

Per 70 anni, dal secondo dopoguerra, i suoli agricoli dei paesi industrializzati sono stati ingozzati di fertilizzanti e di pesticidi nell’ottica della resa più alta nel minor tempo possibile. Si è banchettato allegramente in barba all’inquinamento prodotto e alle risorse consumate: ora i suoli sono in affanno, perché fertilizzazione spinta e lavorazioni continue stanno rendendo i suoli aridi, tanto che nel 2015 la FAO ha dedicato la sua campagna annuale proprio a questo tema. 

Se i suoli non sono in salute non è possibile produrre alimenti salutari: l’Italia peraltro è uno dei paesi con il più alto livello di impiego di fertilizzanti! E i suoli impoveriti incidono soprattutto sulla presenza di micronutrienti come ferro, iodio, selenio, cromo.

E allora in un contesto alimentare del genere, accedere ad alimenti di qualità non è poi così scontato e di conseguenza la valutazione di assumere integratori. Per 70 anni la strategia alimentare dei paesi occidentali si è basata sull’affidare ad alimenti di origine animale l’approvvigionamento di minerali,  vitamine del gruppo B e proteine, creando un’agricoltura che ha puntato alla quantità dei vegetali prodotti piuttosto che alla loro qualità. Ora che si sta comprendendo quanto nei cibi animali si concentrano anche molecole cancerogene, metalli pesanti e sostanze infiammatorie, ci vorrà del tempo per riconvertire l’agricoltura ad un sistema che premi la qualità di ciò che produce in termini di potenziale nutritivo e qualcosa, per fortuna, a livello politico si sta già iniziando a fare. 

Per dirla in altri termini, l’eventuale necessità di integrare non c’entra l’alimentazione vegana.

E’ un problema molto più ampio, che potrà migliorare quando agricoltori e governi prenderanno delle misure per cui invece di pensare alle rese come kg per ettaro, considereranno parametri come nutrienti per ettaro, esaltando quei metodi di agricoltura rispettosi dei suoli e di conseguenza dei consumatori cui gli alimenti sono destinati.

Il ruolo di un integratore del resto è quello di fornire all’organismo ciò che gli alimenti non riescono a dare, perché impoveriti dalla trasformazione (cotture, raffinazione dei cereali) o dall’origine stessa del vegetale. 

Se quindi gli alimenti che consumi provengono da un metodo di coltivazione “fisiologico” (perché a volte non è sufficiente dire biologico), se presti attenzione alle modalità di cottura e c’è una elevata presenza di alimenti crudi nella tua giornata, se tutto ciò che deriva dal cereale lo consumi rigorosamente integrale, molto probabilmente non necessiti di assumere integratori (di proteine, piuttosto che ferro, magnesio o omega 3). Salvo per alcuni nutrienti in particolare che non dipendono strettamente dall’alimentazione, come le vitamina B12 e D su cui apro una parentesi. 

Per la vitamina B12 e la vitamina D devi infatti pensare al tuo stile di vita: se fossi un vegano contadino che vive all’aria aperta e si nutre dei suoi frutti e ortaggi è altamente probabile che non avrai bisogno di assumere alcuna vitamina B12 e l’esposizione solare ti consentirà anche di avere livelli adeguati della D nel sangue. Viceversa, se sei innaturalmente seduto per 8 ore davanti ad un pc e il massimo dell’aria aperta per te è tenere aperte le finestre di casa 5 minuti, se ti capita spesso di mangiare fuori casa un pasto improvvisato, allora dovresti considerare di valutare lo stato nutrizionale di queste due vitamine (con un’analisi del sangue richiedendo esattamente “vitamina D” e “vitamina B12”) ed eventualmente assumere un integratore. Insomma, mi pare assurdo accanirsi sulla naturalità dell’alimentazione quando tutto il resto nella propria vita è tutt’altro che “naturale”.

 Per concludere, il mercato sta cambiando – da quando , all’inizio del mio vegetarismo quasi 20 anni fa trovavo nei grandi supermercati un solo latte di soia, a quella che è la varietà attuale di prodotti per vegetariani e vegani, o ai locali dedicati alla scelta veg a tavola: a Roma nel giro di 2 anni i ristoranti 100% vegani sono passati da 2 a 24 tra il 2012 e il 2014. 

A questa forte richiesta del mercato dovrà seguire un’agricoltura e un’economia più green e un conseguente contesto alimentare veg friendly a tutti gli effetti. Fino a quel momento che sono certa arriverà, l’assunzione di un integratore in quei casi che lo richiedono, mi pare un piccolo compromesso che nulla toglie ai nobili motivi per cui si sceglie di mangiare 100% vegetale. 

About the author 

Dott.ssa Roberta Bartocci

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